venerdì 29 agosto 2008

fedecentrismo

per la terza mattina di fila, mi sono svegliata con un brutto sogno ( stamattina ho pure pensato "che scema, ho messo la sveglia e invece è sabato", per poi accorgermi che no, non è sabato). non di quelli in cui succede veramente qualcosa di brutto, ma di quelli che mettono ansia, che appesantiscono il respiro.

e, come se non bastasse, di quelli che sembrano chiaramente dare un consiglio o un monito. di quelli che sembrano avere un significato vero, e non solo onirico. di quelli che suggeriscono che il fedecentrismo - io al centro che tento di dare un mio senso alle cose, dimenticando che all'esterno ci sono un mondo e delle persone che un senso se lo danno già da soli - non può stare un granché in piedi.

mercoledì 27 agosto 2008

stop & go

mentre settembre (che è un capodanno all'ennesima potenza, il vero momento in cui si volta pagina e si inizia l'anno nuovo) si avvicina, mi accorgo che si affacciano nella mente i primi "buoni propositi" che verranno presto dimenticati.

vedere e sentire di più certe persone, fare le flessioni, fare gli addominali, affrontare il lavoro in un altro modo, tenere la contabilità ogni mese, riprendere danza, fare ordine nella stanza, fare ordine nella vita.

milano, con la sua temperatura né calda né fredda, il cielo limpido e le strade semivuote, ora pare addirittura vivibile. ricominciano le sere con chi è già tornato al lavoro, le birre al rattazzo, le mail e i messaggi. ricomincia tutto, piano piano, e un po' vien da chiedersi cosa ci sarà di uguale, e cosa di diverso.

lunedì 25 agosto 2008

la sindrome del rientro


mio padre - detto anche l'uomo dei mojito - ieri ha sentenziato: "è la sindrome del rientro, la settimana di malattia quando finiscono le vacanze. tu non avevi mai fatto ferie, ora sai cos'è".

tornavamo in macchina da spotorno, dopo aver sottratto ogni minuto possibile al countdown della fine delle vacanze. io bestemmiavo a ogni colpo di tosse, cercando di tenere a bada raffreddore e sangue dal naso.

e così finiscono le prime ferie vere della mia vita. quelle in cui per la prima volta mi sono sentita dire "domani devo tornare al lavoro". finiscono dopo valencia, porto, coimbra, tomar, nazaré, lisbona, sintra, cabo de roca, cascais, obidos, peniche. dopo aerei, treni e pullman. dopo viaggi diversi con persone diverse. dopo il weekend spotornese di ritorno ormonale all'adolescenza (dei 25-28enni trasformati in 14enni).

del resto i segnali c'erano già quando abbiamo messo (io, ale e michy) piede sul malpensa express. nel cielo senza colore che sembrava non avere niente da spartire con quello infinito del portogallo e dell'atlantico. nelle prime avvisaglie di mal di gola. nel caldo appiccicoso di milano. nella pelle che spela strati di abbronzatura.

e quindi si torna. con tanto di sindrome e con la sensazione di aver respirato ogni istante delle due settimane di vacanze. di averle godute. perché sono poche, ma moltiplicarle riempiendole di cose che restano negli occhi è possibile.

giovedì 14 agosto 2008

è un paese per vecchi*

il portogallo ci accoglie (me e la sorella) con un cielo azzurro che sembra non aver fine e un vento fresco (freddo?) che in un istante rimpiazza i 40 gradi di valencia.

porto ci dà il benvenuto con un sali scendi di stradine e di vicoli, con i vecchi sfaccendati che borbottano e guardano ale, con il fiume douro che separa la ribeira (il centro) dalla zona delle caves, delle cantine di porto.

camminiamo felici e stanche, tendendo l'orecchio a questa lingua di cui non si capisce nulla e in cui ci esprimiamo con un mix italo-inglese-spagnolo. tanto, dopo i giorni di valencia con la montà che conta, il vocabolario è ridotto a modi di dire incomprensibili ai più e a versi.

i cinque giorni valenciani, in otto tra danze notturne e spiaggia, tra risse e paella, sono volati. divertenti come ogni volta, stancanti come non dovrebbe essere una vacanza. io registro uno smarrimento di occhiali da sole un attimo dopo aver messo piede in città, un tentativo di uso di lenti a contatto (per la serie: aboliamo i nostri tabù) e una mezza insolazione. incidenti di percorso che non mi fermano.

ora ci aspettano coimbra, tomar, nazaré e poi lisbona.

(*ma la birra costa 1 euro)

giovedì 7 agosto 2008

sabato 2 agosto 2008

vengo dalla luna

alla fine a capa cchiu rezza di tutte è la mia, dopo che un tornado tropicale si abbatte sulla piazza di trezzo d'adda, su di noi e su caparezza.

avrà fatto appena quattro-cinque canzoni quando si alza un vento gelido ("emmm... ma non faceva caldo da morire, un secondo fa?"), lo schermo alla spalle del gruppo inizia a ondeggiare, le foglie a volare. lui tira dritto con la grande opera ma c'è poco da fare, la musica si interrompe e in tre secondi siamo tutti sotto i portici al riparo dalla grandine.

la pelle si fa fredda (e d'oca), io e la michy scrocchiamo una pipì in un negozio a caso, la mia voce se ne va.

a sto punto, vederlo a settembre è d'obbligo.

(naturalmente, oggi c'è il sole e manco una nuvola)

venerdì 1 agosto 2008

latitudini


la seconda volta è più lucida, più consapevole. sai cosa ti aspetta - più o meno - anche se poi tutto può accadere. e soprattutto sei meno ubriaco, più presente.

dalla prima volta con daniele silvestri sono passati mesi. il cielo sotto cui si siamo incontrati era diverso, la latitudine e le persone pure. a settembre era una scoperta, un pezzetto di musica che sarebbe diventato parte della colonna sonora invernale.

eravamo in provincia di roma, ora siamo in quella di bergamo. scenario abbastanza desolato in entrambi i casi - allora un parcheggio tipo quelli che si usano per il mercato del paese, ieri lo spazio di un centro commerciale o quasi con annesse zanzare e puzza di non si sa cosa (meglio, non saperlo).

la seconda volta il concerto inizia un po' così, doveva essere gratuito e invece per motivi non meglio specificati si paga, la gente mugugna, silvestri si scusa. fa niente, 10 euri li vale, il viaggio in cui ci infiliamo per un paio d'ore, da frasi da dimenticare in poi. canzoni riarrangiate in chiave molto caraibica, sudamericaneggiante. si accelera e si frena, tra ritmi da ballare e parole da cui farsi cullare.

poi i miei pensieri si inceppano sul mal di schiena che parte dalla base del collo e arriva giù fino al codino. per un paio di canzoni non c'è altro. poi arriva la paranza, il momento tamarro per scatenarsi, i sorrisi... e il male scivola via dalle spalle. almeno per un po'.

alla fine, c'è un profumo inebriante che dall'africa alla ande ti racconta di tabacco e caffè... e buonanotte, si va a casa della michy.