mercoledì 25 gennaio 2012

30

sono nata nel 1982, l'anno del mundial. mi ricordo della grande nevicata, tre inverni dopo, ma non della caduta del muro di berlino. mi ricordo della guerra in ex jugoslavia e dei rapimenti. non mi ricordo di tangentopoli. 

avevo 10 anni quando hanno ammazzato falcone e borsellino. avevo 20 anni quando abbiamo speso le ultime lire e iniziato a pagare in euro. e i miei 18 anni sono arrivati insieme al nuovo millenio. 

ho vissuto in due città e ne ho visitate tante. sono stata per mesi su una barca e mi sono innamorata del mare. ho avuto il primo fidanzatino alle elementari e ancora gli voglio bene. e pure a tanti dei fidanzatini successivi, con qualche debita eccezione. 

ho una sorella e tanti amici. ho litigato poche volte, la maggior parte ho dimenticato. altre, appena un paio, no. mi sono persa per lunghi mesi e poi mi sono ritrovata.

ho avuto capelli lunghissimi e cortissimi. ho odiato il mio corpo e l'ho amato. mi sono messa gli occhiali alle medie e da allora non li ho tolti più. ho sempre preferito italiano a matematica. sono stata una secchiona. 

ho fatto danza. sono stata a tanti concerti. non ho mai imparato a suonare uno strumento. non ho fatto l'erasmus. non sono mai (ancora) stata in america del sud, in asia e in australia. 

e insomma, questa sono io. a 30 anni.

(ok, mentre scrivevo c'è stata una scossa di terremoto. mi sa la più forte che io abbia mai sentito. l'ottavo piano ha ballato per un bel po')


venerdì 20 gennaio 2012

and life is like a song

per puro caso, ho scoperto che da oggi etta james non c'è più. e altrettanto per puro caso, che era nata il mio stesso giorno. e che è morta nel compleanno del pacs.

pacs: «vuoi dire che c'è un po' di etta james in noi?»


lunedì 16 gennaio 2012

mio nonno parla da solo

mio nonno ha gli occhi azzurri come il mare quando è calmo. sul mare c'è nato, sul mare ha lavorato per una vita. per decenni ha navigato sui transatlantici che si facevano dall'europa all'america. 

era direttore di sala macchine, che è il gemello invisibile del comandante. il comandante regna sul ponte, il direttore di sala macchine nella pancia della nave. o almeno così l'hanno spiegata a me, facendomi vedere le foto di lui bellissimo in divisa.

mio nonno è passato non so quante volte per il triangolo delle bermuda, si è innamorato della baia di rio e di new york, ha navigato con l'oceano incazzato (mare forza 10, tipo, anche di questo ho visto le foto e sembrava un muro d'acqua). 

mio nonno pure ogni tanto faceva suonare la sirena, di fronte a genova, per salutare mia nonna. e un suo parente (uno zio, credo: non sono molto ferrata sulle questioni familiari, la memoria storica è mia sorella) doveva imbarcarsi sull'andrea doria che poi è affondato. 

mio nonno, mi dice mia mamma, continua a borbottare «ma come si fa a dare in mano a questa gente una nave così grossa». guarda le immagini della costa concordia e si lamenta (parlare da solo è il suo forte). lui di aerei, navi e treni non si è mai fidato. e mi sa che questa storia di una nave colata a picco in una bacinella come il mediterraneo proprio non la manda giù. 

e sono abbastanza certa che, a quasi 90 anni, sarebbe in grado di attaccarti un discorso di ore su cosa hanno sbagliato. e su perché, ovviamente, lui se la sarebbe cavata mooolto meglio. comandi, comandante.


domenica 15 gennaio 2012

la grande sòla

si dice, no? «gli esami non finiscono mai». di solito te lo ricorda un adulto che tenta di indossare un'aria vagamente saggia, mentre tu sudi sangue preparando un appello all'università. o mentre sei alle prese con la maturità. insomma, è un modo per dire «dai retta a me, che di cose della vita ne so: ti aspettano ancora una montagna di sòle». 

ora, il problema è che gli esami non finiranno anche mai. ma la scuola sì. e così quando ci si trova da «grandi» a dover affrontare un qualsiasi tipo di esame (un progetto, un lavoro, quello che volete) la spavalderia dei banchi di scuola non c'è più. non c'è più l'abitudine. non c'è più il ritmo. 

c'è invece un vago senso di straniamento. la vita normale (la vita vera) viene accantonata per un po'. si diventa monotematici. si pensa sempre e solo a quello, dalla mattina alla sera, passando per il tè del pomeriggio. si annullano le uscite. si monopolizza la pazienza di chi c'è accanto. 

e hai voglia a pensare che - appunto - non è la prima né l'ultima prova della tua vita. o che altri prima di te sono sopravvissuti. o che per alcuni ci sono impegni vagamente più importanti (per esempio, mettere al mondo un pupo). 

ma non c'è niente che tenga. devi accettare di essere risucchiato, per un tempo che si spera solo sia ragionevolmente breve (e passi dignitosamente in fretta). perché va bene che «gli esami non finiscono mai», ma almeno tra uno e l'altro vediamo di fare festa. 


martedì 3 gennaio 2012

il primo

solo il primo dell'anno, dopo una notte di festa cinghialosa, possono bastare una birra e una boccia di rosso (in parte pure usata per cucinare la salsiccia) per dissetare 13 persone a cena. strette nella casa-mansarda, attorno a un quintale di pasta alla norma, con gli occhi assonnati e la risata facile. 

e la sensazione che in fondo, se un anno inizia così, non può essere poi tanto male. 

(sperèm)