venerdì 29 novembre 2013

90/91

foto da corriere.it
"anche tu stai viaggiando da sola?". alzo gli occhi, sguardo perplesso. prima regola, mai dare informazioni anche solo vagamente utili agli sconosciuti. soprattutto se sono le due di notte e stai viaggiando sulla 90/91, la linea con la peggior fama di milano. 

"dove scendi? verso il parco ravizza?", continua. lo guardo come se fosse un extraterrestre. lui, non io che, moderatamente ubriaca, sono seduta su un filobus che puzza, pieno di gente che dorme, e leggo un libro sul cricket. "più in là", rispondo diffidente. 

"no sai, è che è un autobus mal frequentato, è un po' pericoloso, e allora io mi preoccupo se c'è qualcuno (o soprattutto qualcuna) che viaggia da solo... non volevo spaventarti". 

lo guardo sorpresa. e con la stessa sorpresa mi guardo attorno. il filobus che corre sul bordo di milano, per tutto il giorno e tutta la notte, è un dormitorio. russano uomini stretti nel giaccone, con la faccia nascosta nel cappuccio. sussulta una coppia di mezza età, lui e lei vestiti eleganti come i miei genitori dopo il teatro, ma con le teste abbandonate sul mento, ciondoloni. 

"hai ragione, ma a me non è mai successo niente", gli dico, quasi giustificandomi. "di solito mi metto vicino al conducente e sono abbastanza tranquilla. grazie lo stesso, sei stato carino". 

(no, non era carino. mi spiace) 

torno al mio libro, che poi è il libro scritto da un amico. l'ho appena iniziato, italian cricket club, e direi che parla almeno in parte della gente che c'è sulla 91. delle lingue che non riconosco e delle varie sfumature della pelle. delle radici. di integrazione e ghetti. dello sentirsi stranieri.
 
per tutti, la 90/91 è la linea della paura. qualche hanno fa, si sono messi a fare delle ronde per "bonificarla". la gente fermata la mettevano su un bus speciale, con le grate ai vetri. e anche oggi, a qualsiasi ora la si prenda, ha sempre un'atmosfera sottilmente inquietante.

"allora io scendo, mi raccomando stai attenta", mi dice dopo parecchie fermate e un'infinita sosta in piazzale lodi il ragazzo protettore delle donne sole nella notte. "tranquillo, a momenti scendo anch'io", lo rassicuro. 

e quando salto giù dall'autobus più multietnico della città e saluto con uno sguardo il suo microcosmo stanco, la coppia di una certa età vestita a festa è ancora lì che se la ronfa.

mercoledì 6 novembre 2013

come lavorare da casa ed essere felici

"come lavorare da casa ed essere felici: i consigli e gli errori da non fare". il tweet di linkiesta parlava chiaro. io, che a casa ci lavoro da poco più di un mese e brancolo nel buio, mi sono subito fiondata a leggere, nonostante fossi in metropolitana con giovani urlanti mascherati da guy fawkes (davvero, #succedeamilano). 

per esempio, stanotte lavoravo da mad men

bè, il pezzo era una di quelle classiche furbate da web che abbiamo fatto tutti: "lavori da casa? ecco gli errori da non fare link e i trucchi da tenere a mente link, con le strategie più usate all'estero link e i consigli per fare soldi link".

comunque, mi sono messa a rimuginare sui miei 30 e passa primi giorni da collaboratore esterno. una vita di cui, oggettivamente, non ho ancora capito granché. tranne che quando ti dicono "fico! così ora puoi fare quello che vuoi!", non sanno di cosa stanno parlando. 

provo ogni giorno a capire qualcosa di più del lavoro da casa, a soppesare i pro e i contro. di solito mi confondo o distraggo prima di arrivare a una conclusione. anche se, a pelle, so che ci sono parecchi lati positivi: non dover uscire a prendere i mezzi con pioggia e freddo, potersi ubriacare in settimana, vedere milano in orari prima sconosciuti, evitarsi burocrazie di redazione, andare a fare le commissioni senza trasformarle in acrobazie, aver iniziato a vedere breaking bad, autogestirsi, poter andare qualche giorno via senza dare spiegazioni... 

eppure, ai pro si affianca un'ansia costante. quell'ansia che stanotte mi ha fatto sognare di lavorare in un posto alla mad men, di bucare due consegne perdendo tempo in cose insensate tipo bere birra con mia sorella al bar dei cinesi sotto casa e di avere un intrallazzo con un capo alla don draper (bello, misterioso e rasatissimo). l'ansia di non farcela a fare tutto, di perdere tempo, di dover essere a disposizione 24h sette giorni su sette, di intristirmi a casa, di diventare pigra, di non sapere cosa arriverà sul conto a fine mese... 

come piccolo margine all'ansia, mi sono data delle mini-regole fin dall'inizio (che già ho infranto infinite volte). almeno su questo, direi che io e linkiesta siamo abbastanza d'accordo.

* alzarsi. svegliarsi ogni mattina a orari decenti, combattendo la voglia di spegnere il driiiin dell'iphone e girarsi dall'altra parte. e buttarsi nella doccia.

* non restare in pigiama. in tuta sì, è un nobile indumento se usato (solo e soltanto) in casa.

* pianificare. fare schemi, liste, calendari. riempire l'agenda, appuntarsi tutto, dare priorità. 

* fare oggi quello che si potrebbe fare domani. portarsi avanti ogni volta che si può. è una rottura e bisogna imporsi una grande violenza per farlo. ma tornerà sempre e comunque utile. 

* uscire. il mio lavoro per fortuna mi obbliga a lasciare il nido spesso e volentieri. è essenziale. e permette di tornare a parlare con la gente, di scoprire i posti, di vedere con la luce zone di milano in cui sono sempre stata dopo il tramonto. 

* decidere che ci sono dei momenti in cui non si lavora. in cui suona la campanella e vanno fatte cose per sé. se no è la follia. 

* non tenere sempre accesi facebook twitter whatsapp e compagnia cantante. possono aspettare di essere visti durante le (parecchie) pausine.

* mangiare a orari decedenti e cose più o meno sane. 

* vedere amici, soprattutto quelli che prima, con gli orari di lavoro fissi, erano fuori dal radar. 

* evitare di ubriacarsi o fare le ore piccole tutte le sere. se succede, la mattina dopo concedersi una razione di sonno e coperte in più. come diceva il filosofo, sticazzi.

mercoledì 23 ottobre 2013

sbam

la parete, ora, è di nuovo tutta rossa. resistono due gancetti: uno normale, l'altro piegato a testa in giù. sono la traccia di quello che c'era attaccato (insieme a una scheggiatura bianca, incidente di percorso mentre lo montavamo) e ora non c'è più. sbam. caduto nel mezzo del pomeriggio.



non dovrebbero aspettarmi sette anni di sfiga, perché gli specchi sono rimasti sorprendentemente intatti. anzi, a dir la verità niente si è rotto. solo, è venuto giù. con un colpo sordo che mi ha fatto saltare sulla sedia. mi ha bloccato il cuore così, a metà di un battito.

vuole la leggenda che, quando il sottomarino su cui viaggiava il mio bisnonno venne affondato, sulla toeletta della mia bisnonna scoppiò una boccetta di profumo. rifuggo le spiegazioni paranormali, ma in certi casi i segni mi impietrificano. così sono ore che osservo la parete nuda. e mi chiedo. 

***

"a me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran" (alessandro baricco, citato dalla sorella per rimettere in moto il mio spirito razionale)

lunedì 7 ottobre 2013

zanzare d'inverno

a milano è arrivato l'inverno, eppure ci sono ancora le zanzare. il cielo si è messo un completo grigio lattiginoso da una settimana e pare non avere nessuna intenzione di evolvere in altro. allo stesso modo io non faccio il cambio dell'armadio e mi arrangio ad aggiungere abiti leggermente più pesanti al bisogno. come se dovessi fare un rattoppo. 

me ne sto coi piedi gelati a sentire il zzzzz della zanzara fuori stagione nell'orecchio. e milano la sento vuota come era quest'estate. solo che adesso è pure fredda. con la nebbia che preme per arrivare e avvolgere tutto, confondendo i contorni. come se ce ne fosse bisogno. 

nebbia a tarifa, poco più di un anno fa

lunedì 30 settembre 2013

liste

gli ultimi giorni ormai non mi destabilizzano più di tanto. e nemmeno i primi. ne ho vissuti abbastanza per sapere che sono solo 24 ore di passaggio, che poi tutto trova il suo posto. e che spesso quello che viene dopo è persino più bello. 

eppure questo primo giorno fuori dalla redazione, dopo circa sei anni "dentro", suona strano. perché non è una pausa come ce ne sono già state, come quelle di passaggio da un lavoro all'altro. per un po', il mio lavoro sarà questo. essere freelance. essere collaboratore. stare a casa, andare in giro, scrivere. 

una libertà nuova, che mi eccita e mi spaventa. sei anni scanditi dalla vita di un giornale non si dimenticano in un istante. per questo oggi cerco di darmi un ritmo, di organizzarmi. chiudi un pezzo, consegna una rubrica. fai la spesa e il ciambellone. 

per questo sento un bisogno ossessivo compulsivo di fare liste: liste di cose da fare, a brevissimo o lunghissimo termine. le correzioni a un articolo, la stampante che voglio comprare, il concerto di giovedì sera, serie e film da vedere, una mail, questo stesso post, persone da chiamare, viaggi da fare... e poi tanto swing. che assieme alle liste, oggi è la mia malattia. 


lunedì 19 agosto 2013

ecco, magari lasciatemi qua

la meraviglia sta a 30 minuti di camminata su un sentiero di montagna, fatta con la risata facile mentre il sole comincia a scendere. perché al rifugio di pian delle bosse, sperduto da qualche parte nell'entroterra della liguria, si arriva solo scarpinando in salita. sarà perché la meraviglia ce la si deve - letteralmente - sudare. 


quando arriviamo, ci salutano le note di django, la banda tziga addobbata di lucine natalizie che fa i suoni e la luce rosa del tramonto. toglie il fiato, mette gioia. scende il buio, è tempo di polenta e birra di castagne, di torte e "inquilini del piano di sotto". un tavolone di legno, semplicità che è star bene. 

poi i musici attaccano. swing, musiche popolari, titine che non si trovano e oci ciornie. si scaldano loro, ci scaldiamo noi, seduti sul plaid sull'erba, coperte di fortuna e strati di felpe, vicini a tenere il tempo con le punte dei piedi e a buttar giù mirto e grappa. 


e visto che "la gente che balla ci sta sempre bene", quando la sorella propone un charleston per scacciare il freddo sorrido e faccio scivolare le all star sul prato in pendenza, perché leggenda vuole che il charleston si riesca a ballare proprio ovunque (io quest'anno l'ho fatto).

stelle sopra la testa, bosco e amici tutto intorno, note dentro. una creuza de ma che non fa nulla se è improvvisata, perché l'emozione è esattamente quella lì. quella di una serata che ti incanta e rimette a posto tutti i pezzi, anche quelli un po' usciti da dove dovrebbero stare.

poi si scende, torcia in mano e nero fitto. risate e piedi che cercano l'appiglio. buonanotte a tutti, tra cinque ore e mezza un treno mi riporta alla realtà.

venerdì 5 luglio 2013

voglio vivere in amaca

ho deciso dove passerò la gran parte delle mie notti d'estate. sull'amaca montata sul balcone, attaccata in qualche modo alla ringhiera, proprio davanti alla finestra del pacs. 

l'ho capito eri sera mentre scivolavo nel torpore, il libro di paolo giordano il corpo umano appena finito accanto alle ginocchia, il cuscino di colazione da tiffany dietro alla testa, il corpo abbracciato dal guscio di tessuto a fiori, l'odore dolciastro dello zampirone. 


sono diventata amaca-maniaca: non so perché. forse perché mi ricorda lo sciabordio del mare contro lo scafo della barca. forse perché sembra una coccola. forse perché mi fa pensare al terrazzo romano della sorella.

la mia, di amaca, arriva dalla sicilia. è fatta artigianalmente da una mia amica - ed è bellissima. sta benissimo nel balcone lungo e stretto come una pista da bowling, che io e il pacs abbiamo riempito di fiori e vasi in un pomeriggio di pazzia e bricolage da leroy merlin. 

seguire l'evoluzione delle piante dell'ottavo piano è la mania #2 dell'estate. le annaffiamo, le curiamo, le osserviamo come piccoli piero angela, ne discutiamo, andiamo a caccia dei predatori che potrebbero infastidirle. 

ecco perché ieri, quando ho visto la copertina del new yorker, ho pensato: acc, questa sono io. 


venerdì 3 maggio 2013

sono la mia schiena

sembro tarantolata, sul sedile del treno. mi divincolo, mi muovo, mi sposto. maledico le poltrone smart di italo - ma so che è nella mia schiena il problema. nelle sue curve, nelle storture, negli scricchiolii.

sarà che ho appena finito di leggere storia di un corpo di pennac, ma sono molto sensibile ai lamenti del mio, di corpo. mi dimeno cercando di simulare compostezza. invidio gli altri viaggiatori, fermi con eleganza in un'unica posizione.

costole, collo, vertebre, bacino, colonna, anche, coccige. io muovo tutto. riempio la cassa toracica d'aria per tenderla, ruoto la spina dorsale per sbloccarla, allungo la schiena per stirarla.

dall'esterno devo sembrare un bambino iperattivo, di quelli che non stanno mai fermi. sposto le mie ossa, la mia borsa, i miei giornali. cambio posizione. io sono la mia schiena.

domenica 28 aprile 2013

troppo pieno, troppo vuoto

di solito i giorni sono puzzle di impegni a incastro. persone, lavori, incontri, feste, serate, email, appuntamenti, telefonate, una cena qua e un aperitivo là, «mi spiace ma questa settimana non posso, ho tutte le sere piene». 

ho la tendenza a riempire le ore e i minuti all'inverosimile, fino quasi a farli scoppiare. ho la tendenza a non stare ferma, a sovraccaricare, a voler fare tutto. finendo per lamentarmi, poi, perché è troppo. anche se so che il troppo è vita. 

perché poi arrivano i giorni del troppo poco, e con loro il terrore. giorni lenti, vuoti, in cui c'è poco da fare, nessuno da vedere. si recupera il sonno perso, ci si porta avanti col lavoro, si prepara una torta allo yogurt di mirtilli. e poi? 

via | weheartit

martedì 23 aprile 2013

and all that swing

me ne sono innamorata in una sera valenciana di fine settembre. eravamo nella scuola spirit of st. louis tra birra e cuba libre e a me si sono sgranati gli occhi. avevo appena scoperto il lindy hop - e lui aveva scoperto me. 

l'ho visto ballare in piena notte sul marciapiede, con la musica dell'autoradio che usciva dalle portiere aperte. in un locale semi-chiuso e poco affidabile. al parco del turia sotto al ponte di calatrava. 

e poi mi sono messa a ballarlo anch'io, il lindy hop. che poi altro non è quel che si balla sullo swing, sulle note degli anni 30 e 40, a cavallo tra charleston e jazz. 


e niente: il lindy hop mi rende felice. mi fa sorridere, sudare, divertire. mi riempie il cuore. sono diventata swing-dipendente. farei solo quello. ballo alla fermata dell'autobus, in ascensore, sulla metro. ballo sul balcone, alle serate, al corso. e non vedo l'ora di ballare all'aperto. 

questo weekend ho ballato a genova. non so se quando i miei amici al mio compleanno mi hanno regalato un weekend di swing a zena (be-lindy!) sapevano che avrebbero nutrito la mia dipendenza. ma così è stato. e io non potrei esserne più felice.

giovedì 28 marzo 2013

le mie mani nelle tue mani

valeria ha le dita sottili e parla a voce bassa. è piccola e magra come me, avrà la mia età, forse un po' meno. la guardo come si guarderebbe un alchimista, mentre taglia un foglio di plastica e lo modella con l'acqua calda. mi riempie di sorpresa immaginare che diventerà un tutore per il mio polso.

mi chiede che lavoro faccio. la giornalista, rispondo. mi chiede dove, glielo dico. «so che è un brutto momento per voi, conosco una persona che ci lavora». annuisco. «ma tu sei assunta?». no, ho un contratto precario, le spiego.

valeria avvicina il viso e sussurra con un filo di voce: «anch'io, scade tra una settimana».

via | weheartit
restiamo in silenzio. accanto a me, una fisioterapista cura con dolcezza una ragazza con le dita mezze distrutte. distolgo lo sguardo dai punti, avverto la vertigine.

valeria continua il suo lavoro con calma e attenzione, come se un tutore per un polso nemmeno troppo mal messo fosse la cosa più importante del mondo. penso alla mia amica dottoressa neo-specializzata. 

ascolto i discorsi delle ragazze in divisa blu e bianca. sono discorsi importanti. sembrano stanche. mi chiedo che senso abbia che le loro mani siano mani precarie.

valeria finisce. la ringrazio per quanto ha fatto e le auguro in bocca al lupo per il suo lavoro. «anche a te». crepi, crepi il lupo. 

venerdì 22 marzo 2013

storie di amore e di lavoro (o della precarietà)

le storie di amore e quelle di lavoro si assomigliano. che siano precarie o a tempo indeterminato, avventure di una notte o cococo. all'inizio ci si studia. si prendono le misure, ci si mette il vestito più bello. si mostra il lato più interessante. si valutano gli interessi comuni.

erwitt elliott
poi, a volte (non sempre), scatta qualcosa. sono i giorni dell'entusiasmo, quelli in cui agli amici parli solo di quello (del nuovo lavoro, del nuovo amore). quasi fossi la prima persona sulla terra a uscire con qualcuno o ad avere un impiego.

all'inizio nessuno ha idea di come andrà. durerà? finirà? è lui, quello della mia vita? tante domande, zero risposte. ma non importa, avanti così, perché ci siamo solo noi.

pian piano l'eccezionalità diventa normalità. i binari quelli della quotidianità. si fa quel che si deve, si affrontano i problemi (a volte da soli, a volte insieme). si perde il brivido, si tende ad andare a marcia costante.

rassicura. non eccita forse, ma rassicura.

passano i mesi, passano gli anni. qualche brivido («mi rinnovano o no il contratto di un anno?»). poi, di solito, c'è bisogno del salto. dell'upgrade. mi sposo, faccio un figlio, vado a convivere, ho un aumento, ho una promozione, ho un tempo indeterminato.

per alcuni funziona. è un nuovo inizio. un progetto comune. per altri no: i motivi sono mille, ma semplicemente non va.

allora si entra nello stallo. quando sai che è finita, che dovreste solo lasciarvi liberi. che non ha più senso stare insieme. si diventa freddi, svogliati, si inizia a guardarsi intorno. si fa di tutto per essere lasciati.

(chiudere le porte, in tutti i casi, terrorizza)

solo i più coraggiosi troncano di netto, con un addio o una lettera di dimissioni. gli altri aspettano, sapendo che la fine prima o poi arriverà.

ecco, io sono esattamente qui. 

mercoledì 20 marzo 2013

ho voglia di

quasi ogni giorno, a un certo punto, scatta il momento ho-voglia-di. il desiderio fortissimo di qualcosa, qualcuno. di essere altrove. di solito spunta mentre sono alla scrivania. o in metro. o mentre cammino. ho voglia di.

i tardi pomeriggi già pieni di luce mi fanno venire voglia di una birretta all'aperto. i giorni di sole di andare al mare. i cieli blu con l'aria fredda di stare in montagna.

certe canzoni sparate nelle orecchie mi fanno di venire voglia di saltare e sudare. certo swing mi butta nei piedi la smania di ballare lindy hop, come ho visto fare un pomeriggio nel parco-ex-fiume di valencia.

poi ci sono giorni che ho voglia di partire, di stare sotto al piumone, di piantare i peperoncini che arrivano dall'altra parte dell'oceano. ho voglia di cucinare dolci, di un bicchiere di vino, di cibo etnico. ho voglia di avere certe persone accanto, di carezze, di pelle. di roma, dei posti in cui sono stata, del pane che profuma, di focaccia, di sabbia.

a volte condivido la mia smania, a volte la tengo per me. quando la voglia arriva, sento che sarei capace di mollare tutto per seguirla. non lo faccio, perché in fondo sono un persona equilibrata. ma la voglia resta lì, come un piccolo progetto. e, ogni tanto, si avvera.