in questi giorni di freddo polare, in cui l'unico pensiero del mattino è "vestiti pesanti", mi capita spesso di infilare dei pantaloni di velluto. hanno un colore indefinito beige, mi fanno un culo enorme e hanno le gambe leggermente scampanate. contando che di solito ci ficco sopra il dolcevita, va a finire che mi sento molto 70's. o forse ho visto troppe puntate di romanzo criminale. (ah, il freddo)
mercoledì 31 dicembre 2008
domenica 28 dicembre 2008
venerdì 26 dicembre 2008
il diversivo natalizio
l'unico modo per sopravvivere al natale*, è poter contare su un diversivo. le feste 2008 ce ne hanno regalati ben due: big e la wii. due distrazioni che impegnano corpo e testa (per chi ce l'ha). accoppiata vincente per placare le voglie di spirito natalizio familiare (certo che pure un massaggio di diego aiuta).
*nonostante qualcuno sostenga che il natale mi faccia lo stesso effetto che a un bambino schizzato.
*nonostante qualcuno sostenga che il natale mi faccia lo stesso effetto che a un bambino schizzato.
giovedì 18 dicembre 2008
stavolta
il giorno prima di roma è sempre strano. c'è una valigia piccola da fare, che viene rimandata fino al mattino della partenza. c'è qualcosa da non dimenticare, che puntualmente viene dimenticato. ci sono i preparativi, come in un rituale. c'è la certezza che sarà troppo breve. che in treno gli occhi saranno pesanti. che sarà tutto come sempre e insieme tutto diverso, familiare ed estraneo.
stavolta la valigia è grande, come chiesto dalla sorella. stavolta domenica risalirò con lei, e con il gatto. stavolta è quasi natale. stavolta arrivo alle 22.11 perché c'è l'alta velocità. stavolta è come ogni volta ma anche no.
(nash72)
lunedì 15 dicembre 2008
siamo tutti amici / e perciò felici
a forza di camminare sui marciapiedi perennemente lucidi d'acqua e di schivare pozzanghere, di mettere gli stivali e la gonna "così non mi bagno l'orlo" e di osservare la città che non si asciuga mai (neanche quando sembra che non piova, che a guardare bene nel cono di luce dei fanali si vedono micro-gocce), comincio a sentirmi uno snorky.
lunedì 8 dicembre 2008
lo specchio
appoggiato alla parete di fronte al letto, ora c'è uno specchio. alto e stretto. con il bordo nero. appoggiato, non appeso o attaccato, alla piccola parete bianca. bianca come tutte le altre. che niente deve essere fissato.
comunque c'è questo specchio. io adoro gli specchi. sono donna e sono (una mancata) ballerina. e questo basta a spiegare. così ogni mattina mi siedo sulla sponda del letto e guardo la mia immagine sfocata nello specchio. senza occhiali è solo una macchia di colori. ma io mi ci riconosco.
mi viene in mente la locandina di lost in translation. non che ci assomigli granché, a bill murray in vestaglia e pantofole. certo, sono in pigiama e ho i capelli insensati. però mi viene in mente quella.
poi mi vesto, e ogni tanto lo faccio guardandomi nello specchio. infilo biancheria un po' carina solo perché fa sentire meglio, sapere di averla sotto i jeans. maglietta, calze e maglione. e resto a guardarmi un po' nello specchio. la pelle chiara e i vestiti. i brividi di freddo e il copriletto. a chiedermi se io sono gli slip di pizzo o le scarpe da ginnastica.
- ma lei l'ama?
lucas apre la porta: - non conosco il significato di questa parola. nessuno lo conosce. non mi aspettavo questo tipo di domanda da parte sua, peter.
- eppure, questo tipo di domanda le verrà fatto spesso nel corso della sua vita. e talvolta sarà costretto a rispondere.
(agota kristof / trilogia della città di k)
martedì 2 dicembre 2008
se ti facessero a pezzetti
la penultima volta che ho ascoltato de andrè me la ricordo benissimo. non il giorno esatto - poteva essere gennaio o febbraio o marzo del 2007, il tempo di quel periodo è un insieme confuso - ma il momento sì. era un tributo, nella sala del centro sociale la strada, appena sotto il livello dell'asfalto. a garbatella.
me l'ero ascoltato, questo tributo, un po' stonata come sempre ero allora. il mio modo per proteggermi. però mi sentivo forte, perché la musica andava avanti e io reggevo.
nonostante fosse la nostra musica. nonostante fosse entrata in ogni cd regalato, in ogni mattina sonnacchiosa nel letto, in ogni angolo della stanza proprio lì, a garbatella.
non era la prima relazione fondata su de andrè. anche quella precedente era fatta di note e parole. e in più eravamo in liguria. ma allora era stato diverso. finita la storia, la musica era rimasta. la nostra musica.
nella sala fumosa della strada era differente. era una battaglia a ogni strofa. ma ero convinta di potercela fare. e invece.
e invece, a un certo punto mi è stato ricordato che sbocciavan le viole. qualcosa si è rotto, frantumato dentro. mi capitava spesso, allora. allora ho saputo che parlare di cuori che si spezzano non è una metafora. ho annaffiato le viole con le lacrime e i singhiozzi, piegata a metà. ho lasciato che braccia amiche mi sorreggessero e mi stringessero. e ho detto addio a de andrè. e, per un certo periodo, a tutta la musica.
ho tappato le orecchie e schiacciato molti stop.
poi è arrivata altra musica. un ipod intero. tanti concerti. una nuova nostra musica. ma de andrè no. fino all'altro giorno. per obbligo e per sfida. perché “anche così si diventa grandi”.
fatta a pezzetti.
e quando una parte di te viene smontata, puoi star certo che tutta la tua costruzione di certezze viene giù. e ti trovi con millle pezzetti in mano, e nessuna idea di come ricostruirli. e ricostruirti.
con quella domanda che ti spezza il fiato e che sussurra. continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?
me l'ero ascoltato, questo tributo, un po' stonata come sempre ero allora. il mio modo per proteggermi. però mi sentivo forte, perché la musica andava avanti e io reggevo.
nonostante fosse la nostra musica. nonostante fosse entrata in ogni cd regalato, in ogni mattina sonnacchiosa nel letto, in ogni angolo della stanza proprio lì, a garbatella.
non era la prima relazione fondata su de andrè. anche quella precedente era fatta di note e parole. e in più eravamo in liguria. ma allora era stato diverso. finita la storia, la musica era rimasta. la nostra musica.
nella sala fumosa della strada era differente. era una battaglia a ogni strofa. ma ero convinta di potercela fare. e invece.
e invece, a un certo punto mi è stato ricordato che sbocciavan le viole. qualcosa si è rotto, frantumato dentro. mi capitava spesso, allora. allora ho saputo che parlare di cuori che si spezzano non è una metafora. ho annaffiato le viole con le lacrime e i singhiozzi, piegata a metà. ho lasciato che braccia amiche mi sorreggessero e mi stringessero. e ho detto addio a de andrè. e, per un certo periodo, a tutta la musica.
ho tappato le orecchie e schiacciato molti stop.
poi è arrivata altra musica. un ipod intero. tanti concerti. una nuova nostra musica. ma de andrè no. fino all'altro giorno. per obbligo e per sfida. perché “anche così si diventa grandi”.
fatta a pezzetti.
e quando una parte di te viene smontata, puoi star certo che tutta la tua costruzione di certezze viene giù. e ti trovi con millle pezzetti in mano, e nessuna idea di come ricostruirli. e ricostruirti.
con quella domanda che ti spezza il fiato e che sussurra. continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?
lunedì 1 dicembre 2008
l'eleganza delle donne in trasferta
Sono chic le donne milanesi a Roma. Sanno distinguersi. Il vecchio edicolante di San Lorenzo in Lucina è infallibile nel riconoscerle. Dice che le bellezze romane sono “smandrappate”, mentre quelle di Milano portano sempre addosso qualcosa intonato al colore dei loro occhi.
(dario cresto-dina, la repubblica di milano di oggi + justatmidnight)
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