
la penultima volta che ho ascoltato de andrè me la ricordo benissimo. non il giorno esatto - poteva essere gennaio o febbraio o marzo del 2007, il tempo di quel periodo è un insieme confuso - ma il momento sì. era un tributo, nella sala del centro sociale
la strada, appena sotto il livello dell'asfalto. a garbatella.
me l'ero ascoltato, questo tributo, un po' stonata come sempre ero allora. il mio modo per proteggermi. però mi sentivo forte, perché la musica andava avanti e io reggevo.
nonostante fosse la
nostra musica. nonostante fosse entrata in ogni cd regalato, in ogni mattina sonnacchiosa nel letto, in ogni angolo della stanza proprio lì, a garbatella.
non era la prima relazione fondata su de andrè. anche quella precedente era fatta di note e parole. e in più eravamo in liguria. ma allora era stato diverso. finita la storia, la musica era rimasta. la
nostra musica.
nella sala fumosa della
strada era differente. era una battaglia a ogni strofa. ma ero convinta di potercela fare. e invece.
e invece, a un certo punto mi è stato ricordato che
sbocciavan le viole. qualcosa si è rotto, frantumato dentro. mi capitava spesso, allora. allora ho saputo che parlare di cuori che si spezzano non è una metafora. ho annaffiato le viole con le lacrime e i singhiozzi, piegata a metà. ho lasciato che braccia amiche mi sorreggessero e mi stringessero. e ho detto addio a de andrè. e, per un certo periodo, a tutta la musica.
ho tappato le orecchie e schiacciato molti stop.
poi è arrivata altra musica. un ipod intero. tanti concerti. una nuova
nostra musica. ma de andrè no. fino all'altro giorno. per obbligo e per sfida. perché “anche così si diventa grandi”.
fatta a pezzetti.
e quando una parte di te viene smontata, puoi star certo che tutta la tua costruzione di certezze viene giù. e ti trovi con millle pezzetti in mano, e nessuna idea di come ricostruirli. e ricostruirti.
con quella domanda che ti spezza il fiato e che sussurra.
continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?