cammino sotto un cielo grigio, nero e blu. i fulmini illuminano orli di nuvole, di tanto in tanto. i tuoni rotolano in un silenzio irreale. poche persone, pochi rumori. qualche macchina, un tram che sferraglia. e il mio respiro. a conti fatti, il parco solari sotto un imminente acquazzone (te lo aspetti da un momento all'altro, di sentire una grossa goccia cadere pesante) è questo. il mio respiro.
un po' è perché fa fresco e ho voglia di soffiarmi il naso, ma non ho un fazzoletto e quindi sbuffo come una balena. un po' perché arrivo da yoga e dopo yoga il respiro si fa sempre, come dire, presente.
non so se sia un effetto voluto, ma a me succede. a furia di fare luuuunghi respiri, va a finire che l'aria fa percorsi strani, dentro di me. dà un po' un effetto-canna, di torpore e rimbambimento. credo sia una questione di ossigeno che arriva al cervello in modo strano.
il respirare mi lascia ogni volta sbalordita. nel senso, è una cosa che facciamo ininterrottamente. ma se ci pensiamo diventa diversa. non si può pensare a respirare e respirare normalmente nello stesso tempo. perché ci si fissa sul peso dell'aria, sulle costole che si aprono, sulla sensazione di riempirsi e svuotarsi.
così, dopo yoga, assieme alle costole ingarbugliate, ai muscoli troppo reattivi e a capelli ancora più insensati del solito, mi trovo con questa specie di respiro cosciente. e mi viene da chiedermi se solo con il respiro valga questa cosa, il fatto che cambi non appena ci pensi e che da azione spontanea diventi innaturale.
credo di sì, anche se il mio razionalismo mi scongiura di pensare che no, non è così. eppure succede. si fanno grandi e piccole cose con naturalezza, poi ci si ferma a pensarci e... puff, panico.
che poi, forse questo è solo il risultato di un corso per yoga per disadattati (a vedere l'improbabilità di palestra e partecipanti).