il giorno in cui ho iniziato ad amare i giornali - ad amarli fisicamente, la carta un po' grezza, il rituale, il fruscìo dei fogli - ero sulla terrazza di lettere alla sapienza. probabilmente, c'era il sole.
arrivavamo a lezione con gli occhi stanchi per le poche ore dormite, per le troppe birre bevute. ci sedevamo sulle sedie con il tavolinetto (sempre, inevitabilmente rotto) e ci aspettavamo. ognuno con il suo quotidiano aperto sotto il naso. leggere l'
amaca di michele serra era necessario quanto il caffè.
nelle pause andavamo in terrazza (o al pratino, in quelle lunghe). avevamo tante repubbliche, corriere, manifesto, stampa. leggevamo, insieme, da soli. ricordo le sigarette fatte con tabacco e cartine (senza filtro,
please. e a bandiera, mi raccomando). l'aria
bohémien. i discorsi lunghi come dibattiti. le pagine di giornale arruffate. vittorio era zucconi, sebastiano era messina, conchita la de gregorio.
assomigliava alla felicità più pura. poi è passata, risucchiata via. deludente come solo i grandi amori sanno essere. ma il piacere di sentire sotto le dita e sotto gli occhi le pagine quasi beige, quello è rimasto.