giovedì 29 ottobre 2009

il giorno in cui ho iniziato ad amare i giornali

il giorno in cui ho iniziato ad amare i giornali - ad amarli fisicamente, la carta un po' grezza, il rituale, il fruscìo dei fogli - ero sulla terrazza di lettere alla sapienza. probabilmente, c'era il sole.

arrivavamo a lezione con gli occhi stanchi per le poche ore dormite, per le troppe birre bevute. ci sedevamo sulle sedie con il tavolinetto (sempre, inevitabilmente rotto) e ci aspettavamo. ognuno con il suo quotidiano aperto sotto il naso. leggere l'amaca di michele serra era necessario quanto il caffè.

nelle pause andavamo in terrazza (o al pratino, in quelle lunghe). avevamo tante repubbliche, corriere, manifesto, stampa. leggevamo, insieme, da soli. ricordo le sigarette fatte con tabacco e cartine (senza filtro, please. e a bandiera, mi raccomando). l'aria bohémien. i discorsi lunghi come dibattiti. le pagine di giornale arruffate. vittorio era zucconi, sebastiano era messina, conchita la de gregorio.

assomigliava alla felicità più pura. poi è passata, risucchiata via. deludente come solo i grandi amori sanno essere. ma il piacere di sentire sotto le dita e sotto gli occhi le pagine quasi beige, quello è rimasto.

21 commenti:

CristianoRonaldo10 ha detto...

come hai ragione
non posso vivere senza la Gazza
mmmhhh
che bello
quanto è sexy
quel rosa
wow

fe ha detto...

che poi perché è rosa? se non sbaglio perché la carta di quel colore costava meno, ma non sono sicurissima...

Jos ha detto...

No, non c'entra il costo. Anzi.

Inizialmente la Gazza era verde chiaro. Poi decisero per il rosa.
Come segno di distinzione.

Gran bel blog, davvero, bellissimo e superbe le citazioni di Palahniuk (ma non solo)

JB

Jos ha detto...

In quinta elementare visitai con la mia classe il più antico giornale italiano ("La Gazzetta di Mantova") e capii cosa volevo fare da grande.

JB

fe ha detto...

grazie jos, per la spiegazione e per le belle parole.

alla fine da grande sei riuscito a diventare quello che volevi?

Jos ha detto...

Fe,

"alla fine da grande sei riuscito a diventare quello che volevi?" mi chiedi...

bella domanda!

Risposte ce ne sono parecchie. Iniziamo dal punto di vista professionale.

D'acchito diresti di sì. Grazie all'Ifg di Milano, dove sono entrato nel 1991, sono giornalista professionista dal 1993. Dopo essere passato da quotidiani locali e riviste di settore, dal 2000 lavoro in un giornale con la carta color rosa (non è la mitica "Gazza").

Ma... Ma mi sento realizzato professionalmente?

Sì e no.

Sì perché comunque, tra giornalismo e libri, qualcosa ho combinato.

No, però, perché le mie "big expectations", quelle che ciascuno di noi coltiva nell'età dell'oro, quando tutte le porte paiono aperte e tutti gli obiettivi a portata di mano, almeno per me sono rimaste irrealizzate.

Detto questo, non posso lamentarmi (sarebbe egoismo farlo) con una collega che si misura con le mille trappole di un mondo professionale in cui i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono sempre più rari.

Però mi rispecchio nelle cose che scrivi di te sul tuo blog, ci trovo molto di me, delle cose che vivevo alla tua età (sebbene non è che io sia Matusalemme).

Ti domando a mia volta: sei sicura che questo Paese sia il posto adatto a chi vuole realizzare i suoi sogni professionali nel giornalismo?

JB

valerio ha detto...

Questo paese è l'ideale per chi si arrende e decide che il lavoro è qualcosa di non fondamentale nella vita. Professionalmente parlando questo paese non vale nulla e non solo dal punto di vista del vostro tipo di professione.

Jos ha detto...

Valerio, non sono del tutto d'accordo con te.

Per i gerontologi e i geriatri, i gestori di case di ricovero, per i venditori di farmaci per anziani e malati cronici, per i produttori e i venditori di tutori di deambulazione, di apparecchi per l'udito, di protesi per l'anca, di dentiere, per i procacciatori di badanti e per badanti, per infermieri, questo Paese (ma anche buona parte dell'Occidente e tra qualche anno anche la Cina) è l'Eldorado professionale e imprenditoriale.

Per i lavoratori dipendenti lo sai meglio di me come siamo messi.

Per le professioni intellettuali e le attività commerciali dipende: se sei figlio di papà o mamma e puoi (o vuoi: io non ho voluto) ereditare l'attività dei genitori, al netto dei problemi di successione e dell'aumento della concorrenza - col relativo dumping sociale - puoi ancora fare una vita più che dignitosa. Nella categoria inserisco i figli di calzolai, falegnami, restauratori, idraulici, che pur non essendo professioni intellettuali sono ad alto reddito e introvabili.

Se ti accontenti di fare l'imbianchino, l'elettricista, la masseuse, l'estetista, puoi tirare a campare.

Il problema vero riguarda tutti gli altri, la generazione figlia di dipendenti ad alta scolarità. Tutti quelli che a 24 / 25 anni al massimo devono avere già nello zaino una laurea, un master, un curriculum credibile più svariate doti personali (lingue, disponibilità a trasferirsi, a viaggiare) per finire se va bene a svolgere occupazioni saltuarie, risibili rispetto ai loro studi e alle loro aspirazioni, sottopagate, con prospettive nulle o quasi.

Parliamo di laureati. In materie umanistiche soprattutto, ma non solo.

Quando frequentavo l'università (diciamo sino alla fine degli anni 80 e per uno spicchio iniziale dei 90), i laureati alla Bocconi avevano di fronte a se praterie sconfinate per la professione e la carriera.

Oggi so di casi di laureati della Bocconi che finiscono nei call center delle banche. Mentre laureati in economia in Francia con pari età e titoli vengono in Italia mandati dalle banche francesi a gestire ruoli di rilievo negli istituti di credito italiani.

Più chiaro di così l'"handicap nazionale" non potrebbe essere...

JB

valerio ha detto...

"Per i lavoratori dipendenti lo sai meglio di me come siamo messi."

Come siamo messi? C'è sempre qualcuno sopra che per quanto possa essere generoso nell'elargire dal punto di vista contrattuale guadagna comunque cinque volte il mio compenso mensile senza muovere un dito. Il compenso mensile per quanto lauto è insufficiente a vivere dignitosamente in una grande città.

Ad oggi siamo messi che le tasse servono semplicemente a coprire le infinite grandi opere, a garantire le consulenze d'oro e far campare le compagnie parastatali, ex-statali, comunque-sempre-statali.

In Italia non c'è concorrenza, non c'è ricerca, non c'è innovazione, la nostra è una società ferma, compriamo tutto dall'estero e non produciamo nulla di nuovo da decenni. Le competenze dei nostri laureati vengono assolutamente ignorate e una volta laureati, conviene comprarsi una vanga perché si deve cominciare a spalare la merda.

Ho lavorato dentro un grande giornale per otto anni, ora sto in un enorme carrozzone ex-statale. Il lavoro per me sono le meno ore possibili contrattabili della giornata durante le quali vengo obbligato a restare nello stesso posto in cambio di soldi, la felicità è comunque là fuori quelle finestre.

Jos ha detto...

Ho fatto tanti lavori.

Sono stato operaio in un macello. Sono stato bracciante agricolo. Ho distribuito i giornali alle sei del mattino in zona porta Genova a Milano agli abbonati che volevano "Repubblica" sullo zerbino in tempo per la colazione (e il venerdì, quando c'era appunto "Il Venerdì" ma anche "Affari e Finanza") erano decine e decine di copie da portare su e giù (mica potevo lasciarle in strada con la bicicletta) e dove non c'era l'ascensore erano decine di piani da fare a piedi.

Sono stato cassiere in una agenzia ippica, ho lavorato come impiegato quasi un anno alla Siae, ho fatto telemarketing.

L'unico lavoro che ho lasciato dopo la prima giornata è stato quello di venditore di enciclopedie porta a porta.

Tutti questi lavori li ho fatti prima di riuscire a entrare nell'IFG di Milano, mi sono serviti a mantenermi agli studi e a prepararmi per il concorso.

Ma se avessi vent'anni adesso me ne andrei via dall'Italia. Come del resto hanno fatto tanti miei coetanei e amici. Questo non è un paese per giovani. Me ne andrei in Canada, probabilmente.

Dopo otto anni in un giornale sei finito nel parastato? Sei stato precario per otto anni e poi hai deciso di (o hai dovuto) mollare?

JB

valerio ha detto...

Non si decide granché quando un lavoro vale l'altro ("Nessuno di noi sta facendo la rivoluzione francese"), l'unica cosa che può farti cambiare è un contratto migliore o un contratto e basta invece di rimanere senza lavoro e non sapere come pagare l'affitto e la vita in generale.

Io ho fatto il cameriere dai 16 in poi, a 19 anni sono entrato nel grande giornale (tramite colloquio e selezione in agenzia di consulting), sono rimasto precario in affitto per otto anni, mi sono laureato nel frattempo, il grande giornale, lo stesso che tu distribuivi porta a porta, ci ha salutato da un giorno all'altro e grazie alla mia laurea, ai miei anni nella redazione internet e alla mia società sono entrato nel parastato.

Il parastato è un posto dove lavorano solo i consulenti, gli assunti vengono semplicemente mossi come pedine da un capo all'altro in un'eterna esibizione di forza e muscoli nella quale chi ha più dipendenti ha più potere, non è indispensabile che una squadra di dipendenti abbia realmentequalcosa da fare.

Io sono romano e in quanto tale metereopatico, scegliere di andare a vivere in un posto dove si lavora meglio e piove sempre è fuori discussione. La qualità della vita conta troppo e purtroppo l'Italia è un pessimo paese col sole. Roma, soprattutto.

Jos ha detto...

La qualità della vita conta. E' vero. Per questo un "padano" (di nascita eh, mica di fede politica - anzi!) come me se n'è andato a vivere a Roma nel 1996 per lavorare in un grande gruppo editoriale.

Poi però sempre la qualità della vita (professionale) mi ha riportato a Milano nel 2000.

Anche a me restare a Roma sarebbe piaciuto e se avessi potuto svolgere lì la mia professione, al livello e nella testata attuale, mi piacerebbe ancora di più invece che vivere in questa città umida buia inquinata e triste.

Ma tutto non si può avere. Ciascuno ha la sua scala di prorità.

Jos ha detto...

Cominciano a uscire troppi refusi. Segno che è ora che vada a pranzo. Oltretutto mi accorgo che sto recitando il ruolo del saccente trombone "arrivato" (ma de che?) ed è una parte che non mi piace per nulla

ciao

JB

valerio ha detto...

Ognuno fa il suo percorso nella vita scegliendo le proprie priorità, per me il lavoro conta meno degli amici, della musica, dei libri, dello sport, della felicità.

Il lavoro è solo un modo per arrivare con maggiore dignità possibile alla fine del mese. Per me l'importante è passarci meno ore possibile.

BIBA ha detto...

grazie all'Italia potrò un giorno andare a fare la geriatra in Molise.

che amarezza

valerio ha detto...

Nel lungo week end romano a base di pappardelle, danze e sole sull'Appia Antica di domenica pomeriggio abbiamo deciso che in un paese ideale gli anziani andrebbero esiliati dopo i settanta nella regione nota agli italiani col nome di Molise.

Jos ha detto...

THAT is no country for old men. The young
In one another's arms, birds in the trees
- Those dying generations - at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.

valerio ha detto...

Sì, tutto purché si tolgano dalle balle

fe ha detto...

ok tutti i discorsi di lavoro, ma voi il pomeriggio lavorate o scrivete commenti? :)

Jos ha detto...

E che ci vuole a scrivere 10 righe di commento o a copiare e incollare due versi di Yeats???

Jos ha detto...
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