venerdì 10 agosto 2007

resta un vuoto parecchio pieno

un giorno intero per lasciare sedimentare - e forse non basta. per rielaborare la stanchezza, l'adrenalina, i complimenti, l'emozione di scrivere con il pc appoggiato sulle ginocchia. in un albergo, in una stazione, in uno scompartimento troppo caldo.

roma-mestre mi obbliga a trovare un punto d'equilibrio e di incontro, con i compagni di viaggio. una fessura per le parole e per gli sguardi. posso e devo aprire gli occhi e le orecchie (e ogni senso che ho a disposizione) come non mi accadeva da tempo.

mi imbevo, come una spugna, di queste persone e di questo viaggio. il viaggio dei matti.

scrivo sul blocco comprato apposta, so che molte di queste cose non potrò usarle. so che tante resteranno solo mie, ma è giusto così.

gli occhi e i sorrisi, i "vieni con noi?", la saggezza nascosta dietro volti in cui è difficile scrutare. il diluvio a firenze e una coincidenza telepatica. questo resterà solo mio.

a mestre tutto è moltiplicato: non qualche decina ma qualche centinaia. tutti mi parlano, parlo con tutti, mentre cerco di buttare giù il pezzo. è come se li conoscessi da molto, molto più di qualche ora. è come se intuissero le mie debolezze e le mie emozioni. difficile staccare le orecchie e gli occhi per concentrarsi sulla tastiera. difficile, mentre una persona in maglia verde smeraldo ti chiama cipollina e inanella argomenti disparati - alcuni che fanno un po' tremare il cuore.

poi è buio, è pioggia. è il binario poco illuminato. è un rumore continuo, basso, di voci e di eccitazione. è la voce trentina dell'agente di viaggi coi capelli rossi all'altoparlante della stazione.

scivolo tra di loro, lascio che mi sfiorino e bevo ogni istante. clic, la macchina fotografica fa da seconda memoria.

poi il convoglio arriva, ed è un lungo momento di trambusto. valigie, chitarre, persone. tutti su.

tranne me. io resto giù. saluto col braccio.

mi accuccio nel bar e faccio quel che devo. pc, macchina fotografica, connessione.

poi resta un vuoto parecchio pieno. e un gianprugnotto brasiliano che vuole portarmi a dormire in cuccetta con lui, e un bimbo che russa fortissimo (come può tanto rumore uscire da un corpo così piccolo?), e un vagone che sembra uscito dall'orda di stella che sto leggendo.

zingare dormono per terra nei corridoi, nel mio scompartimento fa troppo caldo. c'è puzza, c'è una sottile sensazione di panico. scrivo il pezzo di accompagnamento alle 3 o alle 4 del mattino.

di fronte a me, un ragazzo disabile. buttato come un sacco accanto al finestrino, trattato come un soprammobile fastidioso. e il mio lungo viaggio verso roma mi insegna altre cose. ad apprezzare le isole felici, a non dimenticarmi del resto.

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